Oggi festeggiamo la festa dei lavoratori in un clima politico e sociale pesante. L'Italia non riesce ad uscire dalla crisi economica che ormai la investe da molti anni. Ogni giorno aziende chiudono i battenti mandando a casa i lavoratori. Avere un lavoro ben retribuito e stabile è un privilegio che sempre meno lavoratori possono vantare, mentre le file dei disoccupati e dei precari si ingrossano. I consumi delle famiglie sono ridotti al minimo, molte famiglie si indebitano per mantenere uno stile di vita dignitoso e cresce il numero dei mendicanti.
Di fronte a questo spettacolo desolante il governo italiano non reagisce minimamente, rimane indifferente, come se non fosse compito suo portare l'Italia fuori dalla crisi. Il governo preso dai problemi giudiziari del premier sfrutta ogni situazione, dalla beatificazione del papa alla guerra in Libia, per distogliere lo sguardo degli italiani dal fallimento delle strategie di politica economica portate avanti sinora.
Il governo, non contento degli insuccessi, insiste con le politiche liberiste e di macelleria sociale. Continuano i tagli alla ricerca, alla scuola e al welfare. Piuttosto che ripensare la legge 30 che ha dato vita alla giungla dei contratti precari, appoggia lo sfruttamento dei lavoratori attuato dalla Fiat.
La linea del governo è molto chiara: ridurre il costo del lavoro al minimo e le tasse sulle imprese per rendere i prodotti più competitivi sui mercati internazionali e rilanciare le esportazioni.
Il fallimento di questa strategia è evidente e sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono vedere.
Per diminuire le tasse a livello nazionale sono stati tagliati i fondi per il welfare, lo sviluppo e i trasferimenti agli enti locali. Questi, per sopperire alle risorse e ai servizi che il governo ha eliminato, hanno aumentato le tasse, annullando così ogni effetto della detassazione a livello nazionale.
Sul versante del costo del lavoro, benché l'indubbio successo di aver portato i lavoratori sulla soglia di povertà, tale risultato non è stato sufficiente a rendere i nostri prodotti più competitivi sul mercato internazionale.
Inoltre la riduzione del reddito dei lavoratori ha comportato un crollo dei consumi. La stessa natura dei consumi è andata cambiando. Se prima le famiglie erano disposte a comprare prodotti italiani di qualità, ora non se lo possono più permettere e si orientano verso prodotti scadenti ma poco costosi provenienti dai paesi cosiddetti emergenti.
Per non parlare poi delle conseguenze negative dei tagli alla cultura, alla formazione e alla ricerca, sulla produttività del lavoro e sulla qualità dei prodotti, ai quali la detassazione dei premi potrà difficilmente sopperire.
L'Italia avrebbe bisogno di politiche economiche basate sullo sviluppo sostenibile e su un nuovo ruolo da protagonista del governo. Un governo che smetta di fingere di essere neutrale nelle relazioni sindacali mentre parteggia per i datori di lavoro. Un governo che ridia dignità al lavoro ed aiuti a rilanciare i consumi interni delle famiglie tramite politiche redistributive, mettendo fine al paradosso di manager superpagati e lavoratori ridotti alla fame. Una nuova politica economica che destini le poche risorse disponibili verso la cultura, la formazione e la ricerca per aumentare la produttività e dare vita alla società della conoscenza.
Tuttavia attuare una politica keynesiana non sarebbe più sufficiente perché un modello di sviluppo basato sulla produzione indifferenziata di beni di consumo non potrebbe reggere al progressivo esaurimento delle risorse del nostro pianeta. Pertanto il governo dovrebbe orientare la produzione ed i consumi verso prodotti che rispettino l'ambiente tramite un sistema di incentivi e disincentivi e la creazione di un ciclo dei rifiuti che porti ad un loro totale riciclo.
In conclusione un modello di sviluppo alternativo a quello attuato dall'attuale governo esiste, bisogna solo avere la volontà di metterlo in pratica.
Luca
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